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Ernst Jünger, Visita a Godenholm (recensione breve)

(articolo uscito sulla “Lettura” del “Corriere della Sera” del 31 dicembre 2017)

È credenza comune che, della cinquantennale amicizia tra Ernst Jünger e il chimico scopritore dell’acido lisergico Albert Hofmann, e delle sperimentazioni psichedeliche che la accompagnarono, il precipitato letterario, oltre al bel Carteggio di recente uscito in versione integrale per Giometti & Antonello, sia fondamentalmente il saggio Avvicinamenti, laddove le opere maggiori di Jünger vanno in altre direzioni, per quanto sempre innervate da una speciale sensibilità mistica. Non tutti sanno, infatti, che di tali esperienze esiste invece una specifica emanazione narrativa, costituita dalla novella Visita a Godenholm, uscita in Italia nella Piccola Biblioteca Adelphi per la traduzione di Ada Vigliani. Vi si racconta la storia di tre persone, afflitte da differenti tormenti interiori ma accomunate dall’aspirazione a una conoscenza più profonda del proprio sé, che raggiungono un’isoletta del Mar del Nord dove vive l’enigmatico mistagogo Schwarzenberg, destinato a guidarli in un viaggio visionario nel loro mondo interiore. L’importanza di questo libro è doppia: si tratta con ogni probabilità – l’originale è del 1952 – del primo racconto dell’esperienza psichedelica in un testo letterario, due anni prima del lavoro di Huxley nelle Porte della percezione, e molti prima dei vari resoconti che sarebbero giunti con esplosione delle culture beat e hippie, ma anche dell’opera in cui la prosa luminosa di Jünger trova la sua manifestazione forse più cristallina, mettendosi al pieno servizio di uno dei temi centrali della poetica dell’autore: l’elevazione dell’individuo sopra la massa e sopra una Storia spesso ingrata, quando non terribile, attraverso la possibilità della trascendenza.

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