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Fantastico italiano

(pezzo uscito sulla “Lettura” del “Corriere della Sera” del 21 luglio 2013)

Quando, poco più di un anno fa, ho deciso di lavorare a un romanzo fantastico, i miei amici letterati mi hanno guardato strano. Di più: mi hanno guardato male. Ho compreso dai loro occhi che esisteva un pregiudizio, forse più grande di quello che circonda gli altri “generi”. Mi sono recato in libreria, ma la sezione dedicata traboccava di romanzi pseudotolkieniani scritti da adolescenti e da essi non si poteva capire cosa stesse accadendo in Italia al genere; qualche auspicio si poteva trarre dal paratesto di libri catalogati altrove: un romanzo certamente fantastico come Sirene di Laura Pugno veniva definito in quarta dall’editore Einaudi “favola nera”; Bompiani per La seconda mezzanotte di Antonio Scurati parlava di “libro ambientato nel futuro”, mentre Fantasmagonia di Michele Mari aveva una quarta secondo cui il libro “gioca con i generi e con la tradizione letteraria”, quasi che dire ciò che conteneva effettivamente – racconti fantastici – fosse un insormontabile tabù. Adelphi, poi, che pure ha pubblicato testi cruciali del fantastico anche “popolare”, come La nube purpurea di Shiel o Cristalli sognanti di Sturgeon, i romanzi fantastici italiani contemporanei neanche li pubblica. Né ho trovato traccia di fantastico sulle pagine culturali dei giornali. Mi è venuta in parte in aiuto Internet: se i blog letterari “canonici” seguivano la medesima linea dei quotidiani, in quelli gestiti da appassionati se ne parlava, anche se per lo più male, quasi che il fantastico italiano elogiabile dovesse ancora arrivare; si salvavano nei commenti solo il decano Valerio Evangelisti e, tra i giovani, Francesco Barbi e Francesco Dimitri.
Ho deciso dunque di tenere d’occhio questi ultimi due autori e mi trovo adesso per le mani L’età sottile, il nuovo romanzo di Dimitri edito da Salani. Già il fatto che a qualche settimana dall’uscita il nuovo romanzo di quello che per molti è il miglior giovane autore italiano di fantastico non abbia trovato menzione sulle pagine di alcun giornale, la dice lunga sulla situazione, specie se si considera che L’età sottile è un romanzo il quale, pur all’interno del classico frame del Bildungsroman magico (viene alla mente The Books of Magic di Neil Gaiman, prima ancora che Harry Potter), sposta in avanti l’asse del fantastico italiano per qualità della scrittura, pregnanza, struttura e impianto teorico – specialmente nella prima parte, in cui il protagonista Gregorio, un adolescente romano, viene iniziato alla magia pratica. Non si vergogna dei cliché, Dimitri, anzi è consapevole che il fantastico debba farci i conti poiché deve fare i conti con gli archetipi, e c’è una trasparenza considerevole anche nei riferimenti: già a pagina 14 sono saltati fuori i nomi di Alan Moore, Gaiman, Hogwarts (e con essa J.K.Rowling), King; il libro è inoltre per così dire “crowleyanamente corretto”, tanto che potrebbe convertire più di un adolescente alla magia. È il miglior libro fantastico italiano tra quelli usciti negli ultimi anni e, pur non scimmiottando i maestri esteri – l’ambientazione è una Roma che fa pensare a Moravia, così come al suo Agostino rimanda, di fatto, il nodo psicologico della vicenda – attinge a qualcosa che sta altrove, certo non in Italia.
La questione che dunque si pone, messi da parte tutti quei libri usciti sulla scia del successo cinematografico del Signore degli Anelli e con i quali si è tentato invano di replicare il successo di Licia Troisi, è quale possa essere oggi il canone del fantastico italiano, e dove possa condurre. Si potrebbe giocare a tracciarlo: partire dalla Divina Commedia e dalla quinta novella della X giornata del Decameron (dove la magia è data per esistente e ha funzione narrativa) per passare da Orlando Furioso e Hypnerotomachia Poliphili, sfiorare i primi trascrittori di fiabe (nelle persone di Giovanni Francesco Straparola e Giambattista Basile) transitare attraverso la scapigliatura di Tarchetti, Boito e Gualdo e arrivare a un Novecento dove la quantità e qualità degli autori che si sono cimentati col genere non permetterebbe di definirlo trascurato: vengono in mente Calvino, Buzzati, Papini, Landolfi e ancora Savinio, Bontempelli, Tozzi, Manganelli, gli stessi Pirandello e Levi. Tuttavia un canone si valuta anche dall’importanza che ha per chi pratica quel sentiero oggi, e tanto nei cattivi romanzi pseudotolkieniani quanto nel buon romanzo di Francesco Dimitri (o nella produzione di Francesco Barbi), di tutto questo c’è poco. C’entra probabilmente il fatto che Calvino vedeva il fantastico dell‘800 come «emozionale» e quello del ‘900, al contrario, contraddistinto da un «uso intellettuale», ovvero «gioco, ironia, ammicco, lucida costruzione della mente»: il fantastico in Italia rimarrebbe dunque solo come possibile campo dei giochi intellettuali dello scrittore “serio”, ma ci si guardi bene dall’emozionarsi, dal crederci! Tutto ciò, unito all’idea di Croce secondo cui all’anima italiana non si addicerebbe il romanticismo (né successivamente la tradizione di marca comunista vi avrebbe guardato con favore, come ben suggerisce Roberto Calasso nel recente L’impronta dell’editore, Adelphi 2013), potrebbe essere sufficiente anche a spiegare la carenza di lavoro critico intorno a questo genere in Italia.
Anche secondo Ghidetti e Lattarulo, curatori della più importante raccolta di racconti fantastici italiani (Notturno italiano, Editori Riuniti 1984), la linea nostrana tende «all’ibridazione e del virtuosismo intellettuale» per la «mancanza in Italia di quell’artigianato letterario che altrove ha consentito l’imponente sviluppo della paraletteratura, all’interno della quale la narrazione fantastica ha conosciuto sempre crescente fortuna». Né l’idea è variata di molto venticinque anni più tardi: anche secondo Melani, curatrice della più recente antologia sul tema (Fantastico Italiano, BUR 2009), «nel Novecento italiano, la perenne instabilità morfologica del racconto fantastico, sotto le spinte avanguardistiche ed eversive della commistione dei generi, porterà a un’ibridazione con la fiaba, l’allegoria, l’apologo, il surreale, allontanando molti autori dal fantastico visionario e simbolico dell’inconscio collettivo per scrivere racconti virtuosisticamente intellettuali e, tutto sommato, anche poco angosciosi. In Italia non ci sarà spazio per un Lovecraft o per un Matheson». Ora, ciò non è del tutto vero, dato che un’antologia, essa pure del 2009 e curata da Gallo e Foni (Ottocento nero italiano, Aragno) ha mostrato che anche l’Italia ha avuto il suo artigianato del fantastico, e sulla “Domenica del Corriere” convivevano scienziati pazzi e fantasmi, investigatori e vampiri, femmes fatales e mostri marini; tuttavia quei testi, anche a causa del loro valore non elevato, hanno avuto scarsa influenza sui contemporanei – si può al massimo ravvisare, nella commistione di sottogeneri che è propria di Evangelisti, un’attenzione a tale tradizione. Lo scrittore italiano che si approccia al romanzo fantastico oggi, e che voglia declinarlo in modo sinceramente popolare, ovvero, per così dire, “credendoci lui stesso” (o, per dirla con Todorov, “mirando a evocare nel lettore scene irreali rendendole credibili dal punto di vista mimetico”), si trova privo di maestri – sia dal punto di vista dell’approccio che di quello della forma, dato che il nostro Novecento fantastico è composto quasi esclusivamente di racconti – e così ecco emergere Gaiman, Moore, King, Rowling (lo stesso Dimitri cita come altri suoi riferimenti autori come Heinlein, Tolkien e Barker), e non lo si potrà allora biasimare se si rifà a costoro, a patto che provi a innovare, a metterci del proprio, e del proprio mondo. Il fantastico italiano ricomincia adesso, con romanzi come L’età sottile; la sfida futura sarà rimettere in comunicazione i due canoni e riallinearli.

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